Ieri pensavo alle occasioni perdute. La verità è che non ce ne sono state. In questi tre anni, in cui sei stata malata, costretta in un letto pieno di coperte perché avevi costantemente freddo, non ce ne sono state. Ci siamo dette tutto quello che ci sentivamo di dire. Non molto, per la verità, ma noi siamo fatte così. Non particolarmente inclini all’esternazione dei sentimenti. Cosa che mi sono sempre ripromessa di migliorare. Non anaffettive, perché il punto non è quello, solo che non diciamo quello che abbiamo dentro. A nessuno. O quasi.
Ho sempre pensato di essere tanto diversa da te e mi sono impegnata molto per esserlo davvero. Ora che mi conosco meglio, so che non sono poi così diversa, che le scelte che faccio ogni giorno sono basate anche su quelle che hai fatto tu. Che il coraggio l’ho preso da te, ma tu ne hai avuto di più. Tu che hai scelto di crescere da sola cinque figli in un mondo che non vedeva di buon occhio una scelta di questo genere. Tu che hai scelto di non essere felice di nuovo perché era più importante la felicità dei tuoi figli. La tua sarebbe, forse, venuta di conseguenza. Mai al primo posto.
Ho imparato cosa significa scegliere e cosa significa sacrificarsi. Involontariamente mi hai anche insegnato che la felicità è importante e che non si può essere infelici tutta la vita. Bisogna sorridere. Alla vita e alle persone che ci sono vicine. Perché nonostante tutto ci sono delle persone che ci sono vicine e che ci capiscono. Basta solo accoglierle e loro rimarranno.
Eri simpatica, senza sapere di esserlo. L’umorismo l’ho preso sicuramente da te. Quando sono venuta a dirti che mi sarei sposata mi hai risposto “ma figurati” e hai aggiunto “pensavo saresti rimasta zitella”. Poi te l’ho ridetto che Nonna, guarda che mi sposo per davvero. E tu hai risposto che il matrimonio è un errore ma tutti, chissà perché, vogliono farlo. Poi hai detto che però era un casino perché non avevi niente da matterti e come facevi ad andare dal parrucchiere se non riuscivi a stare in piedi. Al matrimonio non ci sei venuta e alla fine non ti ho nemmeno detto che mi sono sposata. Non ti ho nemmeno fatto vedere una foto perché so che avresti voluto essere lì e che ti avrebbe fatto soffrire non esserci stata. Beh, è stato un bel matrimonio, sai? Adesso te lo posso dire.
Eri spesso nei miei racconti, ti sei guadagnata sul campo il titolo di Nonna Rock. I miei amici ti conoscevano così. La Nonna immortale, quella che avevano dato per spacciata decine di volte, quella che si risvegliava come se niente fosse mentre noi tutti piangevamo e diceva “ma cosa cacchio avete da piangere, non sono mica morta”. E noi tutti a ridere perché Nonna Rock ce l’aveva fatta di nuovo. Un giorno siamo andate alla Asl di zona e ci hanno detto che erano felici di conoscerti finalmente perché eri un mito per loro, la donna che era costata più di tutti all’Asl. Nessuno sapeva come facessi ad essere ancora viva. La nonnina che si era fatta beffa della morte decine di volte. I medici ormai non facevano più previsioni, il prete ti avrà dato l’estrema unzione almeno 10 volte. E tu invece non mollavi.
Persino ieri, quando ci hanno detto che era solo questione di qualche ora non ci credevamo più. L’avevamo già sentito, tante volte. E pensavamo che ti avremmo riportata a casa come al solito. Magari un po’ più acciaccata di prima, come tutte le altre volte, ma ti avremmo riportata dove hai sempre voluto stare. A casa tua.
Ieri mi hai sorriso quando sono arrivata, hai capito che ero lì. Quando ti ho chiesto se volevi dormire un po’ hai scosso la testa. Perché no, non ti volevi addormentare. Perché sapevi che non ti saresti più svegliata. Ma non ce l’hai più fatta e hai smesso di lottare. Il corpo era ormai così stanco. Più stanco di quanto fossi tu. Non siete mai andati d’accordo tu e il tuo corpo. La tua mente è sempre stata lucidissima, fino all’ultimo. Senza mollare mai.
Ora ti stiamo dicendo addio, ognuno a suo modo. Io sono abituata a condividere le cose qui. Perché i miei amici sanno chi è Nonna Rock e sanno che mancherai a tutti. Mancherai anche a loro, perché i tuoi racconti facevano ridere, tanto. Non voglio spegnere il sorriso, nemmeno oggi. E te ne dedico uno che possa accompagnarti dall’altra parte, ovunque essa sia. Mancherai tanto, Nonna Rock. Vai a dare ordini lassù, porta il tuo caratterino da generale dell’esercito anche lì, vai a riabbracciare tutte le persone che abbiamo perso e occupati di loro, come hai fatto sempre quando erano in vita. Ma lascia anche che qualcuno si occupi di te, per una volta.
Ti abbraccio forte. Mia nonna se n’è andata un anno fa, anche lei donna fortissima, poco incline a “inutili” esternazioni affettive, ma generosa, affettuosa a modo suo, e soprattutto molto ironica. La tua nonna rock me la ricorda un po’. Anche mia nonna ha scelto di crescere sua figlia da sola e non ha mai più avuto nessun uomo al suo fianco. Che forza, queste nonne :) Siamo state fortunate entrambe ad avere avuto vicine due persone così. Adesso saranno lì che giocano a carte insieme, secondo me, magari lamentandosi pure che nella cucina dove sono adesso i piatti non sono buoni come li facevano loro <3